Francesca Cao

Francesca Cao
Che cos'è per te la fotografia?
Il grande fotografo Alec Soth afferma che gli uomini rispondono al desiderio di appropriarsi del mondo scattando fotografie, e, dopo quasi dieci anni passati a fare questo lavoro ho capito di essere anche io, un po’ cleptomane.
Quello che spesso mi spinge a scattare una fotografia è il desiderio di immortalare ciò che mi colpisce per trattenerlo con me e letteralmente appropriarmene facendolo mio, un po’ come rubare un oggetto e poterne fruire liberamente a casa propria come se fosse un trofeo. Anche se per molti anni ho considerato il mezzo fotografico principalmente indirizzato al raccontare storie, negli ultimi tempi sto scattando senza avere un progetto o una storia da raccontare, lasciando libertà al mio inconscio di esprimersi attraverso le immagini.
Parlaci del tuo sguardo e di come lo alimenti.
Per continuare a migliorarsi è importante se non fondamentale mantenere lo sguardo allenato.
A parte le mostre e i libri fotografici, che sono fondamentali, cerco sempre di scovare fotografie intorno a me: considero l'osservazione, l’attività più stimolante. Oggetti, sguardi, impercettibili movimenti, colori, sfumature, in una parola: bellezza.
Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti leghi ad esse?
Non esiste un metodo per la scelta dei progetti da fotografare, sono temi che mi colpiscono, e che spesso hanno una relazione che il momento che sto vivendo. Ad esempio nel caso di Temporary Life, l’ho iniziato in un momento in cui stavo affrontando un percorso psicologico di ricostruzione di una parte della mia personalità e, secondo la persona che seguiva al momento, il lavoro fotografico è scaturito proprio da questo.
Per questo sento un legame forte con i miei progetti, perché sono la risposta esterna ad un bisogno inconscio.
In riferimento al lavoro presentato, raccontaci come è nato e come l'hai sviluppato.
Temporary Life è inziato nel 2009 dopo il terremoto dell’Aquila, dove arrivai a fotografare il giorno dopo l’accaduto.
Nei mesi successivi, l’attenzione che aveva il progetto C.A.S.E. sui media e quella che al tempo sembrava dovesse essere la ricostruzione lampo, mi fece riflettere su come era stata affrontata la ricostruzione dopo i precedenti terremoti. Trovai una situazione disastrosa, soprattutto nel centro e sud Italia, di persone che vivono in situazioni precarie da talmente tanto tempo da nemmeno averne più memoria e baraccopoli vecchie un secolo, attualmente ancora abitate. . Ho iniziato così, raccontando la storia di Ernestina Cristiano, una signora che ha vissuto quasi trent’anni in un container d’amianto, perdendo il marito per tumore ai polmoni.
Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Questo lavoro è abbastanza ampio e articolato.
Mentre scattavo le fotografie nella valle del Belice(Tp), ho trovato una serie di oggetti abbandonati dal terremoto del 1968, frammenti di una realtà contadina dimenticata e prove di un mondo immobile. Il progetto editoriale su cui sto lavorando con Irene Alison è stato pensato per evocare il ricordo tramite l’esperienza tattile degli oggetti e delle vecchie fotografie di Ernestina radunate in una sorta di Album di famiglia.
Ci piacerebbe quindi che anche la mostra, che sarà alla Fabbrica del Vapore a Milano, avesse questo leitmotiv, esponendo gli oggetti ritrovati e le vecchie fotografie accanto alle mie immagini.
In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa?
Ho pensato un bel po’ prima di dare una risposta a questa domanda e credo che la mia distrazione sia il risultato dell’influenza che il mio lavoro ha su di me.
Uno dei miei difetti è sempre stato l’aver il naso per aria, a scuola ero quella che veniva sempre ripresa e quando andavo in discoteca passavo la mia serata a osservare quello che facevano o come vestivano i ragazzini della mia età. Oggi ancora adoro passare le ore con il naso sul finestrino, perdermi ad osservare riflessi, giochi di luce, dettagli, sguardi e minuscole imprecisioni della realtà.
Cosa pensi della fotografia italiana contemporanea?
Confesso che si parla talmente tanto di questo argomento che non penso il mio parere possa dare un contributo particolarmente importante alla discussione. Trovo che ci sia un bel fermento culturale/fotografico, anche se il successo è appannaggio di pochi, perché si preferiscono autori stranieri affermati, piuttosto che investire sui giovani. Credo che questo avvenga perché in Italia manca una cultura fotografica, si conoscono i soliti 4 fotografi e quindi le istituzioni o i festival, puntano su grandi nomi per attirare un pubblico maggiore.
La conseguenza è che fotografi molto conosciuti all’estero, come Davide Monteleone, abbiano poca visibilità in patria.
Quali aspirazioni hai per il futuro?
Vorrei essere in grado di creare immagini che siano intime e personali ed allo stesso tempo trattino argomenti universali che parlino dell’essere umano, delle sue paure e debolezze. Mi piacerebbe riuscire a trattare della psiche attraverso le mie immagini. Per questo, tra le mie ambizioni, c’è anche quella di prendere una seconda laurea in Psicologia.
Negli ultimi anni, poi, in maniera collaterale ai miei progetti, ho iniziato un percorso fotografico legato al food e non nascondo, visto anche il piacere che ho per la buona tavola, la speranza di lavorare sempre più in questo ambito.
Galleria "Temporary life"
Biografia
Francesca Cao e` nata a Norwich (GB) nel 1981. Ha studiato al liceo socio-psico-pedagogico e si e` laureata in filosofia nel 2005. Ha lavorato come assistente del fotoreporter Mauro Galligani per due anni fino al 2006, quando si e` trasferita a New York, dove ha vissuto due anni, per frequentare l’International Center of Photography. Nel 2008 ha vinto la Tierney Fellowship per il suo progetto “Il Leone dell’Asia Centrale”, che e` stato esposto nell’ambito del New York Photofestival 2009 e 2010, nel 2009 Francesca e` stata selezionata nella sezione Descubrimientos di Photoespana e ha frequentato l’Eddie Adams Workshop. Nel 2011 espone alla Galleria Open Mind in via Dante a Milano il progetto My Broken World insieme alla fotografa Michela Palermo. Nello stesso anno Il Leone dell'Asia Centrale è stato selezionato per l'Inge Morath award, il premio dell'agenzia Magnum dedicato alle donne sotto trent'anni, e pubblicato su IM Magazine. Nel 2013 il Dummy Book TEMPORARY LIFE è arrivato in finale all’Unseen photo fair ad Amsterdam. Tra i suoi clienti c’e` il New York Times, Zoom Magazine, The Guardian Weekend, D-la repubblica delle donne, IO Donna, Marie Claire, Il Corriere della Sera, Wired e 24. Ha fatto mostre a Milano, Madrid, Valencia e New York. Francesca attualmente vive a Milano.